Durata
12 Marzo 2011
Viaggio in Vietnam, lungo il Sentiero di Ho Chi Minh, dove le vittime dell'Agent Orange chiedono giustizia.
Ore 18.00
30 aprile 1975: le truppe nordvietnamite entrano a Saigon. Finisce così la guerra del Vietnam. Ma non per tutti. Sono 4 milioni le persone che subiscono gli effetti dell'Agent Orange, il defoliante alla diossina che l'aeronautica Usa riversò nel paese. Ancora oggi, i figli dei reduci devono convivere con gravi patologie. E chiedono giustizia.
***
Nguyen Van Lahn giace da 22 anni su una stuoia in una stanza buia come una caverna e dalla sua bocca spalancata escono urla che lacerano il silenzio. Gli hanno legato le mani con uno straccio per evitare che si graffi e la madre Le Thi Mit lo accarezza cercando in ogni modo di calmarlo.
Siamo nel folto della giungla, nel villaggio di Cam Nghia, Provincia di Quang Tri, appena a sud della Zona Demilitarizzata che durante la guerra divideva il Vietnam del Nord da quello del Sud. Ci si arriva percorrendo una strada di terra rossa che si arrampica tra le colline coperte da una vegetazione lussureggiante. Abbandonato il fuoristrada si prosegue a piedi. Il sole e la natura circostante rendono la passeggiata gradevole ma giunti alla meta, la situazione diventa di colpo angosciante.
Nguyen Van Lahn ha un fratello più piccolo, Van Truong di 16 anni, che striscia verso la soglia della baracca e guarda atterrito gli estranei che hanno invaso la sua solitudine domestica. Porta sempre una mano sugli occhi, come se non volesse vedere e continua a rivoltarsi su stesso senza trovare pace.
La guerra del Vietnam si è conclusa nel 1975 ma i fratelli Nguyen, nati dopo la fine del conflitto, ne sono ancora vittime. La malattia mentale da cui sono afflitti e le deformità fisiche sono conseguenza dell’Agente Arancio, l’erbicida dall’alto contenuto di diossina che gli aerei USA hanno fatto piovere tra il 1961 e il 1971 sul delta del Mekong e nella zona degli Altopiani Centrali ai confini col Laos.
Cento milioni di litri di una miscela altamente tossica furono usati per defoliare le foreste lungo il ‘Sentiero di Ho Chi Minh’, rifugio dei Vietcong. Lo scopo dell’operazione ‘Ranch Hand’ era quello distruggere la coltre verde della foresta, individuare il nemico e colpirlo con bombe al napalm e ad alto potenziale sganciate dai B-52.
Le Thi Mit, madre dei fratelli Nguyen, ha 58 anni ed un volto distrutto dalle sofferenze di una vita fatta di dolore e povertà. Ricorda i tempi della guerra:”Gli aerei passavano più volte spargendo una nuvola giallastra dall’odore acre. Ci sentivamo soffocare. Gli occhi lacrimavano. Dopo alcuni giorni le foglie degli alberi iniziavano a cadere. Nessuno ci aveva avvisato della pericolosità della sostanza e per anni abbiamo continuato a bere l’acqua dei pozzi e a mangiare i prodotti della terra. Si trattava di sopravvivere”.
Alla fine della guerra i coniugi Nguyen ebbero un figlio, Van Phu. Morì all’età di quattro anni a causa delle malformazioni. Poi arrivarono i suoi fratelli, anche loro malati. Stessi sintomi. La loro mente è distrutta. Non parlano, non sentono. Non possono stare nè seduti nè in piedi. Non chiedono mai nulla, nemmeno da mangiare.
Dice Le Thi Mit: “Viviamo di un piccolo sussidio mensile del Governo. Mio marito Van Loc lavora nei campi e così riusciamo a mangiare. I ragazzi li imbocco, uno dopo l’altro. Così da più di vent’anni. Ma questa non è vita. Vi ringrazio di essere venuti. E’ necessario che il mondo sappia”.
Il dramma dei fratelli Nguyen non è purtroppo un caso isolato. I numeri sono impressionanti. Secondo le stime diffuse dalla Croce Rossa Vietnamita sono 4 milioni le persone che dal termine del conflitto subiscono gli effetti dell'Agent Orange. Cinquecentomila sono i casi più gravi che vengono curati in centri specializzati come il Tu Du Hospital di Ho Chi Minh City, una struttura moderna costruita agli inizi anni ’90.
Il 90% dei bambini affetti vengono abbandonati alla nascita dalle famiglie e passano tutta la vita nell’ospedale. Per i casi più gravi non c’è speranza di miglioramento e sono condannati ad una lunga degenza. Per gli altri si tenta un recupero che permetta loro di vivere una vita quasi normale e di svolgere un lavoro.
Truong Thi Ten, una delle infermiere più esperte del Tu Du Hospital, ci guida alla visita del reparto iniziando da una sorta di ‘dark room’ dove vengono conservati in flaconi di formalina i feti nati morti o deceduti subito dopo la nascita a causa delle gravi malformazioni.
Abbiamo davanti agli occhi una terribile galleria degli orrori che ti da il peso della gravità del problema, ciò che il mondo non dovrebbe o non vorrebbe mai sapere: una strage silenziosa che continua dagli anni settanta e che miete ogni anno migliaia di vittime innocenti che non hanno nulla a che fare con la guerra combattuta dai loro padri o dai nonni più di 30 anni fa.
Girando tra le corsie s’incontrano bambini di ogni età. Vengono dalle aree del delta del Mekong, dalla Provincia di Kontum e dalle altre provincie ai confini col Laos e la Cambogia.
Recenti prelievi effettuati sulla popolazione delle zone affette, sulle vittime, gli animali e la falda acquifera confermano che la concentrazione della diossina continua ad essere altissima. A causa del disastro ecologico, la contaminazione continua anche ai nostri giorni attraverso il ciclo alimentare. La diossina, assunta attraverso il cibo o il latte materno, entra in circolo, raggiunge gli organi bersaglio e provoca tumori o mutazioni del DNA. Una catena di infinite sofferenze dal devastante impatto sociale.
Nguyen Duc e Viet giunsero al Tu Du Hospital appena nati, 24 anni fa. I due gemelli provenivano dal distretto di Sa Thay, provincia di Kontum, uno dei luoghi più contaminati dal micidiale erbicida.
Uniti all’altezza della pelvi, un bacino, due gambe, un pene, all’età di 8 anni vennero operati e divisi.
Duc ebbe un destino più favorevole. Grazie alle cure superò gli handicap fisici, riuscì a studiare e ad inserirsi nello staff dell’ospedale. Il fratello Viet tutt’ora vegeta letteralmente nel letto, curato dalle infermiere e dalla madre Lam Thi.
Nell’aula adibita allo studio incontro una giovane che scrive col piede: Pham Thi Thuy Linh, ha 12 anni ed è nata senza braccia. Scrive e lavora al computer usando i piedi. Ha una scrittura molto ordinata, bellissima. Se si troveranno i soldi per le protesi il suo futuro sarà diverso.
La catastrofe ambientale e sociale è ancora evidente in alcune aree rurali altamente inquinate dalla diossina come la Valle di A-Luoi, ad ovest di Huè, nei pressi della frontiera col Laos.
Qui la vita degli abitanti – gruppi minoritari di etnia Pa Co – è molto difficile.
Un grande cartello all’entrata del villaggio di Dong Son ricorda il pericolo di contaminazione: vietato coltivare e bere l’acqua dei pozzi.
“E’ proibito portare anche gli animali al pascolo. Viviamo del solo contributo dello Stato” dice Quynh Bay, un ex-combattente. “Questa è una zona maledetta, non c’è futuro. Dai tempi della guerra la terra è malata e ogni famiglia ha almeno un bambino disabile”. Sua figlia, la piccola Ho Thi Nga, di 7 anni, non parla, non sente, si regge a mala pena sulle gambe.
A Bien Hoa, centinaia di chilometri più a sud, stessa situazione, stessa sofferenza.
Da qui partivano gli aerei USA impegnati nell’operazione “Ranch Hand”.
Tutta l’area è tuttora pesantemente contaminata. Così pure il vicino Lago di Dong Nai dove gli aerei scaricavano i residui di erbicidi rimasti nei serbatoi al termine di ogni missione. Ed i risultati li si può constatare visitando il locale ‘Centro per i bambini vittime della diossina’. Su una popolazione di 500.000 abitanti ci sono 1.000 vittime di gravi malformazioni e lesioni cerebrali irreversibili.
Il costo umano, sociale ed economico è altissimo. Per le famiglie, dove i figli sono visti come forza-lavoro, dover mantenere tre o quattro bimbi gravemente malati e non autosufficienti è insostenibile. A questo segue il dramma dell’abbandono delle stesse vittime e l’emarginazione sociale.
Il Vietnam è un Paese in forte espansione economica. Guarda al mercato internazionale ed al futuro ma deve fare i conti con questa pesante eredità.
Di fronte all'ampiezza del disastro, la questione di fondo resta quella delle responsabilità. Una svolta si è avuta con la creazione ad Hanoi, il 10 gennaio 2004, dell'Associazione vietnamita delle vittime dell'agente arancio/diossina. Non appena creata, l'associazione delle vittime ha presentato alla corte di giustizia del distretto di New York una querela contro le 36 imprese che hanno fabbricato l'agente arancio per l'esercito USA.
Tra le società, le più note sono Monsanto e Dow Chemical. Le motivazioni giuridiche sono molte: violazioni delle leggi internazionali, crimini di guerra, fabbricazione di prodotti pericolosi, danni sia involontari che intenzionali, arricchimento abusivo, ecc. I querelanti richiedono danni e interessi per le lesioni personali subite, i morti, le nascite di bambini malformati ed anche per la necessaria decontaminazione dell'ambiente.
Il Tribunale statunitense non vuole ammettere le colpe del passato per non creare uno scomodo precedente che permetterebbe ad altri Stati come l’Iraq o l’Afghanistan di appellarsi per le vittime dei conflitti in corso.
Ma il pesante capo d’accusa rimane e prima o poi la grave questione delle conseguenze della ‘guerra chimica’ tornerà a galla.
Ancora oggi, pochissimi fra i turisti che si recano al Museo della guerra di Saigon sanno che quei due feti deformi sotto formalina, nella teca circondata dalle foto in bianco e nero di Larry Burrows, non fanno parte di un passato da archiviare con i suoi orrori, ma del presente.
Per ulteriori informazioni:
http://www.vava.org.vn/en-GB/SalientNews.vip
http://www.liviosenigalliesi.com
BIOGRAFIA:
Livio Senigalliesi, 54 anni, milanese, inizia la carriera di fotogiornalista nei primi anni '80 dedicandosi ai grandi temi della realtà italiana, le lotte operaie e studentesche, l'immigrazione, l'emarginazione, i problemi del sud, la lotta alla mafia.
La passione per la fotografia intesa come testimonianza e l'attenzione ai fatti storici di questi ultimi decenni l'hanno portato su fronti caldi come il Medio-Oriente ed il Kurdistan durante la guerra del Golfo, nella Berlino della divisione e della riunificazione, a Mosca durante i giorni del golpe che sancirono la fine dell'Unione Sovietica, a Sarajevo ha vissuto tra la gente l'assedio più lungo della Storia.
Ha seguito tutte la fasi del conflitto nell'ex-Yugoslavia e documentato le atroci conseguenze di guerre e genocidi in Africa e sud-est asiatico.
Da alcuni anni porta avanti un progetto dedicato alle vittime civili dei conflitti e collabora con il Photo-desk dell'UNHCR, con l'Ufficio della Cooperazione Italiana e con numerose Ong italiane e straniere.
Sito web: www.liviosenigalliesi.com
REPORTAGE
Medioriente: Giordania, Iraq, Libano, Israele/Palestina, Cipro, Turchia, Kurdistan.
Balcani: Croazia, Bosnia, Serbia, Kosovo, Macedonia.
Est Europa: DDR, Romania, URSS, Georgia, Cecenia e Repubbliche Caucasiche.
Asia: Afghanistan, India, Pakistan, Kashmir, Vietnam, Cambogia.
Africa: Congo, Ruanda, Uganda, Sudan, Mozambico.
America Latina: Guatemala.
LIBRI
"Balkan" - Edizioni del Museo Ken Damy.
"Kosovo, c'ero anch'io" con testi di Massimo Nava - Ed. Rizzoli / Bur
"Vittime, storie di guerra sul fronte della pace" - Fazi Editore
"Balcani: la guerra in Europa. Memorie per l'educazione alla pace" Ed. Cesvi-Educational
"Terra di Palestina" - Ed. Provincia di Salerno - Donne in nero - Assopace
"Caucaso" - Mazzotta Editore
"Ruanda: memorie di un genocidio" catalogo mostra a supporto progetto umanitario
"Justicia y verdad" pubblicato da Fondazione Rigoberta Menchù Tum - Guatemala City
"Dispacci dal fronte" pubblicato da EGA Libri per Reporter sans Frontieres-Italia
"Congo, la guerra infinita" - Edizioni COOPI.
PREMI
1998 "Bayeux War Corrispondent Award" per il reportage di guerra / sez. fotografia
2003 "PDN Photo Annual Award" New York - categoria web site
2004 "World Health Organization Photo Award"
2005 “Premio Miran Hrovatin” – nomination
2006 "Premio Antonio Russo" per il reportage di guerra / sez. fotografia
2007 "Colomba della Pace" conferita dal Comune di Assisi per l'impegno a favore della pace
2009 Riceve la medaglia del Presidente della Repubblica Italiana per il lavoro svolto nella documentazione della condizione degli immigrati clandestini in Italia.
2010 “Premio Eugenio Montale – Sconfinando / Sarzana 2010” categoria fotogiornalismo.
SINERGIE CON ALTRE FORME D'ARTE
1996 - Fotografo di scena sul set del primo film bosniaco del dopoguerra, "Perfect Circle", del regista Ademir Kenovic, presentato alla rassegna cinematografica di Cannes del '97.
Dal 2000 la mostra fotografica 'Oltre il muro' si è arricchita della partecipazione del gruppo teatrale Scarlattine Teatro. La testimonianza giornalistica attraverso le immagini è divenuta fonte d'ispirazione per giovani attori che hanno portato in scena le tragedie dei nostri giorni emozionando un largo pubblico di tutte le età e partecipando a numerosi spettacoli ed eventi contro la guerra come il Forum Sociale Europeo di Firenze.
'Oltre il muro' mostra-performance teatrale ha vinto il premio della critica al Bassano Opera Festival e ha ricevuto l'Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica.
Il 9 novembre 2009 in occasione del 20° anniversario della caduta del muro di Berlino realizza a Milano una grande mostra fotografica con performance teatrele dal titolo "1989 Berlino Anno Zero" in collaborazione con l'associazione culturale Mi-Camera, il Goethe Institut e con il Patrocinio del Consolato di Germania.