Durata
23 Luglio 2011 - 21 Agosto 2011
La scultura è di scena
Si apre sabato 23 luglio alle ore 18.30 presso le Scuderie Granducali di Seravezza ( Lu), la mostra collettiva dal titolo la “Scultura è di scena” curata da Cristiana Cravanzola e organizzata in collaborazione con la Fondazione Terre Medicee, che rimarrà aperta fino al 21 agosto. Il percorso espositivo presenta una serie di sculture di marmo e altri materiali realizzate da sei artiste già note ed apprezzate: la stessa Cravanzola, poi Giovanna Ambrogi, Anna Beite, Jenamarie Filaccio, Sylvia Lowew e Cinzia Rossi. Il filo conduttore della raccolta è il lavoro di ricerca e la passione per la materia anche se con temi diversi. In Giovanna Ambrogi è il dato astratto ad emergere, ma ogni sua struttura – ben lontana dall’accademismo – chiarisce un’articolazione espressiva che si fa immagine. Con Anne Beite prevale il viaggio (che è passaggio), con la parola “Solidarietà” a sorreggere una delle sue più significative opere. L’urlo, il grido... il legno e il marmo... eccoci arrivare alla versatilità e l’uso di diversi materiali di Cristiana Cravanzola che ormai da anni vive e lavora in Alta Versilia, a dire della coesistenza di vari linguaggi ed esperienze artistiche tali da affermarne le prerogative. Per Jenamarie Filaccio la forma è per lo più unita alla circolarità, all’assenza di divisione e al contempo a una sorta di perfezione. Le sue “forme organiche” ci consegnano più temi sempre affrontati e risolti sia in terracotta come in marmo statuario o d’altro tipo; non è difficile scorgervi le gemmazioni di piante marine, la rosa dell’amore, o persino il loto egiziano. Sylvia Loew nell’armonia delle forme del marmo ha affermato di aver trovato “forte energia”: dopo averle create in più connotazioni, spesso ama trattenerle a sé con una rete. Ultima alfabeticamente, Cinzia Rossi Ghion, scultrice del monumentale e del piccolo che ha conservato un certo rapporto con la figura umana, portandola tuttavia in essere con essenziale tocco e personale segno, lavorando spesso gomito a gomito con i sapienti artigiani apuani. La mostra è aperta tutti i giorni dalle 10 alle 12.30 e dalle 17 alle 24 ad ingresso gratuito.
La struttura delle rinnovate Scuderie Granducali di Seravezza, che interagisce con le periodiche e belle mostre del vicino Palazzo Mediceo sapientemente scelte dalla Fondazione “Terre Medicee”, accoglie una Collettiva/Evento pensata da Cristiana Cravanzola (una delle espositrici) e titolata La scultura è di scena.
L’esposizione – di valenza itinerante – non parte casualmente da uno dei punti nevralgici della cultura artistica del territorio apuo-versiliese, in quanto è ben noto che Seravezza è stata, ed è, un luogo sia di attivo passaggio, sia di stabile dimora di tanti creativi i cui nomi sono per lo più accostabili al marmo, opportunamente denominato da Tommaso Paloscia “... materia in cui si identifica la più concreta espressione dell’eternità del creato”.
Del marmo e di altri materiali si sono avvalse le sei protagoniste: Giovanna Ambrogi, Anne Beite, Cristiana Cravanzola, Jenamarie Filaccio, Sylvia Loew, Cinzia Rossi, “gruppo” amalgamato pur con visioni talvolta diverse, già note e apprezzate tanto che riteniamo superfluo in questo intervento volutamente breve per lasciare spazio ad alcune istantanee, elencarne le presenze in mostre collettive internazionali, o personali in più nazioni, collocazioni in musei, riferimenti critici e altro.
La scultura e l’installazione qui vanno di pari passo, come il simbolo, e il tutto ci mette in testa una frase di Pablo Picasso: “Per me non ci sono né passato né futuro nell’arte. Se un’opera non vive nel presente non vive...”.
Il filo rosso del lavoro, della continua ricerca e della coscienziosità le unisce, e l’una e l’altra, dopo aver meditato l’idea, l’ha realizzata superando quell’istintività che talora blocca il positivo processo. Non c’è frammentarietà, bensì una logica che si è sviluppata nel piano della selezione e della scelta (anche della materia).
Avvertendo chi ci legge che ogni artista non è legata solo alla scultura, ma pure alla grafica e alla pittura, per cui la prima converge nelle altre, diciamo che in Giovanna Ambrogi è il dato astratto ad emergere, ma ogni sua struttura – ben lontana dall’accademismo – chiarisce un’articolazione espressiva che si fa immagine.
Le cuciture metalliche, gli agganci e gli accostamenti e il fondo su cui poggia il tutto, altro non sono che un tessuto linguistico sensibile e preciso.
In Anne Beite prevale il viaggio (che è passaggio), con la parola “Solidarietà” a sorreggere una delle sue più significative opere.
La scelta del colore nero che si staglia nel bianco (dualità) è subitanea, e se il nero rimanda al nord, è opportuno rammentare che per talune credenze dell’antico Egitto e dell’Africa del Nord è visto come il colore della terra e l’“origine della fecondità”. Il bianco marmoreo, poi, è l’alba; è un silenzio che mai si chiude, è un entrare nell’invisibile.
L’urlo, il grido... il legno e il marmo... eccoci arrivare alla versatilità di Cristiana Cravanzola che ormai da anni vive e lavora in Alta Versilia, a dire della coesistenza di vari linguaggi ed esperienze artistiche tali da affermarne le prerogative. Nel suo processo creativo, è ben lontana da vincoli, dunque è un’artista che risponde solo alle esigenze del proprio pensiero e perciò, nella sintesi valore/significato cerca sempre di entrare in relazione/comunicazione con gli altri.
Il suo grido non è paura, bensì il tentativo di svegliare l’Uomo che per fretta e superficialità va dirigendosi verso il baratro; il legno ci fa poi pensare ad un’antica leggenda nella quale le piante si trasformano in guerrieri capaci di combattere il male. A seguire, le sue strutture di marmo, vuoi che siano verticali, nel ruolo dell’ascensione/valore, o a forma di conchiglia per evocare la fecondità, o ‘a tartaruga’ (mediatrice tra cielo e terra) sono una visione con la quale esprime ogni atteggiamento di raccoglimento, di protesta o di serenità.
In Jenamarie Filaccio la forma è per lo più unita alla circolarità, all’assenza di divisione e al contempo a una sorta di perfezione.
Le sue “forme organiche” ci consegnano più temi sempre affrontati e risolti sia in terracotta come in marmo statuario o d’altro tipo; siamo così a dire che non è difficile scorgervi le gemmazioni di piante marine, la rosa dell’amore, o persino il loto egiziano.
Dalle sue mani nasce in tal modo una serie di sculture di piccole dimensioni le quali, accorpate e distribuite in uno spazio precedentemente studiato, soluzionano e portano in essere varie installazioni che ben si amalgamano all’ambiente.
A questo punto, prima di andare avanti, è perlomeno d’obbligo sottolineare nuovamente che “La scultura è di scena” collocata all’interno e all’esterno delle Scuderie Granducali, è stata posizionata per un percorso fruibile da parte del pubblico, tale da individuare il linguaggio proprio di ogni artista.
E’ stato scritto, se non andiamo errati, che l’artista autentico ama ciò che rappresenta, sapendo di “poter rappresentare quello che ama”. Non è un giro di parole e il concetto si addice pure a Sylvia Loew che nell’armonia delle forme del marmo ha affermato di aver trovato “forte energia”: dopo averle create in più connotazioni, spesso ama trattenerle a sé con una rete.
Mezzo d’amore, di tutela o d’altro?
E’ indubbio che le sue installazioni siano state create in un contenuto che si articola nell’unitaria reciprocità tra i cosiddetti “elementi fisici” e l’idealismo, cioè la sua spinta creativa.
Con l’unione di più elementi tipo proprio la rete, o il pesce che nell’iconografia indo-europea evoca l’acqua e la saggezza, Sylvia Loew ha trovato le giuste “parole” per farci capire che in arte le opere non sono soltanto astratte, o reali, ma “astratte e reali al medesimo tempo”.
Ultima alfabeticamente, Cinzia Rossi Ghion, scultrice del monumentale e del piccolo. Nel suo iter ha saputo fare la scelta di conservare un certo rapporto con la figura umana, portandola tuttavia in essere con essenziale tocco e personale segno.
Non ama lo sperimentale e spesso lavora gomito a gomito con i sapienti artigiani apuani, disegna molto, produce bozzetti di creta, di gesso e di marmo. Impersona il vero mondo attivo di chi crede ad una verità del ragionamento, perciò ogni pagina della sua vita le offre stimolo per continuare il proprio impegno.
La sua elaborazione figurale parte dal mestiere del fare, che poi è dare e creare; lo fa scegliendo con attenzione la qualità (e il colore) di ciò che poi plasma, sforzandosi di compiere sempre un significativo e disciplinato passo cui segue un altro e un altro ancora.
Chiudiamo qui, consegnando al pubblico e al tempo i lavori di Giovanna Ambrogi, Anne Beite, Cristiana Cravanzola, Jenamarie Filaccio, Sylvia Loew, Cinzia Rossi, sicuri che il primo e il secondo vi apporranno un positivo giudizio.
Lodovico Gierut
Scrittore e critico d’arte